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08-03-2023 -- I Supreme Dicks sono la definizione di “band da culto”, infatti al giorno d’oggi non se li fila quasi più nessuno, c’è però da sottolineare una cosa: le poche persone che li conoscono non parleranno mai male di loro, ma soprattutto la band del New Hampshire può vantare di aver suonato coi Dinosaur Jr, di aver influenzato i Neutral Milk Hotel, un loro pezzo fu persino rifatto dai Low, insoma, si può dunque parlare di una band che è apprezzata quasi e solo da musicisti contemporanei ed esperti di “Indie Rock”. Nati come “Jam Band” negli anni 80, i Dicks erano soliti fare molto rumore in luoghi pubblici o addirittura tetti di condomini, suscitando anche le ire della Polizia. Finalmente, nel 1993, esce il loro primo album, “The Unexamined Life”. Per me è difficile parlare di questo disco perché è con ogni probabilità il mio album preferito della mia band preferita, difficile è anche l’ascolto se non si è propensi ad un certo tipo di musica, infatti questi bizzarri eroi nascondono canzoni tristi, orecchiabili e suonate con poca voglia sotto alla pura anarchia e la libertà dell’espressione sonora, riuscendo con quello che probabilmente è il minore degli sforzi ad ottenere la formula migliore possibile e anche impossibile. Vi invito dunque a spogliarvi di ogni pregiudizio e ad ascoltare “The Unexamined Life”.
“In A Sweet Song” apre l’album con uno dei loro pezzi più tristi, i testi bisbigliati ed enigmatici si sposano benissimo con il distante giro di chitarra acustica e ai miagolii di quella elettrica. Ci si tuffa poi secoli nel passato con “Arabian Song”, una buffa recita tribale totalmente ubriacata e narcotizzata dall’abilità creativa della band. “
“The Sun’s Bells” cambia totalmente il mood delle prime due canzoni e con le sue melodie riesce a rappresentare il concetto di “Paradiso” come ancora non si era visto nel rock, il gran finale poi da anche inizio alla quarta traccia “Jack Smith”, una filastrocca lo-fi dedicata a un regista teatrale underground considerato dalla band come un Messia dell’arte.
“That I May…” e “Garden Of Your Past” sono dei balzi nei ricordi dell’ascoltatore, una lentissima trance all’inizio e un sogno dopo, “Jack O’ Lantern” invece sveglia l’ascoltatore con un pezzo sublime, forse il loro più “ascoltabile”, dove le loro solite melodie ipnotizzanti vi porteranno ad un viaggio nell’infanzia.
Il loop di “River Song” fa da preludio a “The Fallout Song”; dolcissima e luminosa, questa canzone farà certamente scendere una lacrima a qualcuno. Le chitarre si fondono nel creare il paesaggio di un sogno, la voce scorre come una brezza… ”Azur Dome”, balbettata con ben poca gioia, torna all’immaginario mitologico/religioso, spicca anche di più la ballata medievale di “The Forest Song…”, un continuo crescendo accompagnato dall’unico testo ufficiale della band che si può trovare su internet, autentica perla poetica che nasconde mille significati, diversi per ciascuno.
“Hyacinth Girls” estranea l’ascoltatore per qualche secondo, è il turno poi del tredicesimo pezzo, “Ten Past Eleven”; qui i Dicsk riescono a dipingere una storia “Dantesca”, con un continuo alternarsi tra la realtà dei sensi e l’immaginario. La spensieratezza di “Woody…” si contrappone all’ultimo pezzo del disco, “Strange Song”, lentissima discesa nell’oblio e nel caos.
Dan Oxenberg, Jon Shere, Mark Hanson, Steve Shavel e Jim Spring, in arte Supreme Dicks, chiuderanno la loro carriera (almeno per quel che riguarda le registrazioni, dato che non hanno mai smesso di suonare in realtà) nel 96, con “The Emotional Plague”, un album ancora più enigmatico, sperimentale e azzardato del precedente, di cui sicuramente parleremo.

Gianvittorio Bentivoglio

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